Tamara Lunger si racconta – Parte 1

”Non serve andare più in alto, più forte, più veloce: il vero valore è nelle persone”,

Tamara Lunger

Impronte Verticali è onorata di ospitare per la prima intervista una persona, un’alpinista, una donna straordinaria che di Impronte Verticali ne ha lasciate veramente tante sia su alcune delle montagne più alte del mondo sia nella propria interiorità: Tamara Lunger. Ho incontrato Tamara grazie a una  coincidenza in una falesia vicino a Trento in occasione del “Trento film festival 2022”.

Tamara è una persona  gentilissima e disponibile al dialogo, il suo sguardo accogliente e vivo trasmette un solare magnetismo. Alla mia richiesta di prestarsi a una intervista ha accettato di buon grado con un sorriso aperto e disarmante.

Da questa intervista emerge un ritratto intimo di Tamara che parte dalla sua felice infanzia e arriva alle prove più dure che la vita le ha riservato. Tamara non ha esitato a parlare dei momenti più difficili, della fragilità, delle crisi, del confronto con la morte e della propria visione della felicità affrontando tutta una serie di temi cari a Impronte Verticali.

Consigliatissimo seguirla nei social dove racconta senza filtri le sue esperienze in modo vero e coinvolgente.

LA FAMIGLIA, LA GIOVINEZZA, LE IDEE MOLTO CHIARE

Impronte Verticali: Ciao Tamara, innanzitutto grazie mille per tua disponibilità. Tu sei “figlia d’arte”, hai un papà alpinista col quale hai anche condiviso diverse avventure in montagna. Quanto ha influito l’ambiente familiare sul tuo percorso e sul coraggio di seguire la tua vocazione?

Tamara: L’ambiente familiare mi ha influenzato moltissimo, siamo sempre stati una famiglia molto unita e abbiamo condiviso tantissimo a partire dalla connessione con la natura: mio papà faceva le gare in mountain bike e lo abbiamo sempre seguito, avevamo sempre a che fare con gente sportiva.  Così a un certo punto ho deciso che un giorno avrei avuto anche io un’auto con tutti gli adesivi degli sponsor. Giravamo dormendo in un furgone e per me questo aspetto era fantastico, significava avventura, esplorazione, natura. 

“Questa è stata in assoluto la mia più bella spedizione: quasi un mese lontano dalla civiltà, non solo una bensì due scalate in prima! E questo insieme a mio padre. Ho potuto vivere la solitudine più totale, provare cosa vuol dire razionare il cibo, ho imparato a muovermi su terreno sconosciuto e reagire di conseguenza, a gestire ancor meglio le mie forze e le mie debolezze. Un’esperienza che mi ha reso ancora più completa.” (150 km attraverso il Karakorum, 2013)

Tamara e il papà Hansjörg durante la traversata del Karakorum, Pakistan

LA MONTAGNA

I.V.: Nella tua vita ad oggi hai avuto tante passioni sportive, sei anche stata una grande agonista in diverse discipline. La montagna è rimasta l’unico punto fisso nella tua vita. Hai dichiarato:

” Ogni momento che trascorro in montagna mi rende più consapevole di chi sono e più grata alla vita “

cosa rende per te la montagna così speciale? Come potresti spiegare il tuo rapporto con la montagna a chi la montagna non la conosce?

Tamara: La montagna è stata la mia più grande maestra di vita. Lei mi ha portata fuori dalla vita monotona di tutti i giorni, noiosa e spesso difficile. Mi ha fatto vivere molto intensamente tante cose che non mi sarei aspettata sia in positivo che in negativo e questo porta a una intensità di vita superiore, a una diversa consapevolezza, soffri di più, cresci di più. In questo modo cresci più alla svelta perché se non decidi di crescere sei un po’ fregato! 

L’ADOLESCENZA

I.V.: A 14 anni avevi già una vocazione precisa e l’hai realizzata: a poco più di 20 anni eri sul tuo primo 8000. Una simile chiarezza e velocità di realizzazione stupisce in una società in cui i giovani si sentono sempre più persi per mancanza di idee e ispirazioneC’è una ricetta o un segreto che vuoi condividere con noi per formulare e realizzare i propri sogni?

Tamara: Anche io non capisco perché i giovani spesso siano così demotivati e sedentari, mi dispiace molto perché non conoscono più il valore della natura, molti si buttano nella tecnologia e perdono la connessione con la natura. Per me è un aspetto molto triste vedere questo nelle giovani generazioni. Chiaramente non tutti sono così, questo di sicuro è uno dei frutti di quello che hanno saputo trasmettere i genitori. Se un bambino riceve dai genitori l’inprinting di vivere nella natura, dormire in tenda e vivere questo tipo di esperienze in ambiente cresce ben diverso.

Quindi per me la ricetta sta in genitori capaci fare vivere queste emozioni fin da piccoli e di non lasciare i propri figli entrare troppo nel mondo virtuale: per esempio stimolare i propri figli a entrare in un club sportivo in cui possano frequentare amici condividendo i valori dello sport. 

“Il tempo era stupendo ed era bellissimo vedere tutte le pale dell’Everest. Dopo dieci ore di salita – con fissaggio anche delle corde fisse – arrivammo in cima alle ore 10:23 del 23 maggio 2010. Avevo 23 anni!” (Lhotse 2010)

KANGCHENJUNGA, Nepal 2017

IMPARARE DAI FALLIMENTI E DALLA SOFFERENZA

Ho verificato che, anche in altitudine, sono autonoma e riesco a trasportare da sola tutta la mia attrezzatura. Ed è proprio questo il mio obiettivo: arrivare in cima da sola, contando solo sulle mie forze e senza l’aiuto di portatori di alta quota o di sherpa.
Cosa rara, di questi tempi!”

I.V.:  Sul Nanga Parbat sei stata messa di fronte a una scelta difficile dove hai dato prova di lucidità, saggezza e maturità: rinunciare alla vetta per salvare la propria vita e quella degli altri componenti della spedizione. Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Tamara: La cosa bella che mi ha fatto capire il Nanga Parbat è che io me la posso cavare, quando arriva la tua ora ovviamente non ci puoi fare nulla, ma fino ad allora io mi posso fidare di me stessa e di ogni passo che faccio, sono consapevole di cosa faccio e sono in grado di tirarmi fuori dai guai e questa è una dote molto importante di avere questa responsabilità verso sé stessi e per me ha molto valore. 

“Questa spedizione è stata sicuramente, fino a questo momento, la più dura e la più istruttiva della mia carriera e non so se un’altra esperienza sarà mai in grado di batterla” (Nanga Parbat 2016)

Nanga Parbat 2016: Tamara Lunger, Simone Moro, Alex Txikon, Ali Sadpara

I.V.:  Nella discesa dal Nanga Parbat hai anche creduto a un certo punto di poter morire scivolando. Senti che nelle nostre vite esista un destino qualche forma di predestinazione? 

T: Quando arriva la tua ora non ci puoi fare nulla, i miei genitori fin da piccola mi dicevano che non importa dove sei o quanti anni hai, quando è la tua ora devi semplicemente andare, quell’ora è già scritta da qualche parte. E così ho potuto crescere più serenamente, senza questa preoccupazione.

TEMPRARSI NELLE DIFFICOLTA’

I.V.: Dopo questa esperienza affermi di sentirti più coraggiosa, la maggior parte delle persone probabilmente dopo un’esperienza così dura e traumatica sarebbe più spaventata, cosa porta te a reagire nel senso opposto e come sei riuscita a fare tesoro di questa difficile esperienza?

Tamara: Mi sono spaventata, sì, però quando hai trovato la cosa che ti fa provare il massimo di ciò che puoi essere, per un po’ puoi essere spaventata da questa cosa, ma poi torni a ciò che ti rende così felice.  

Quella che portiamo a casa per noi non è una sconfitta, ma un sogno a cui abbiamo dato energia e gambe. Con o senza vetta sono l’azione e la fantasia che contano e non il mero risultato. Questa avventura è semplicemente rimandata.” (Manaslu 2015)

I.V.:  Hai affermato che:

“Essere la prima donna a scalare un 8000 in una prima salita invernale. Era uno dei miei sogni più belli, anche se, nel tentativo di realizzarlo… mi è stato regalato molto, molto di più.”

LA CRESCITA NEL FALLIMENTO

Viviamo in una società che teme l’esperienza del “fallimento” mentre tu ci insegni che mancare un obiettivo a volte ci porta molto di più di ciò che volevamo. Cosa è arrivato a te in quell’occasione?

Tamara:

Il fallimento è una figata, e io sono quasi la regina dei fallimenti!

è stato proprio accettando il fallimento che ho scelto degli obbiettivi con una probabilità molto bassa di riuscita. Questo perchè non ho paura di fallire, per me è più importante l’esperienza che faccio durante la prova più che il suo compimento. Essere su un 8000 da sola d’inverno per me era l’esperienza importante, mi sentivo viva, connessa con la natura, avevo tempo per me per capire chi sono e capire cosa volevo fare da grande, quindi il fallimento o le esperienze negative sono aspetti che alla fine diventano positivi.

Di una vittoria si è felici per qualche giorno poi passa pian piano. Da un fallimento si può imparare molto e per lungo tempo

Dal fallimento posso capire cosa ho sbagliato, cosa posso migliorare, dove devo cambiare, e come impostare diversamente la testa. Così si riesce a crescere tantissimo e guardarsi dentro. Io vivo coì ho realizzato uno stile di vita intenso, particolare, doloroso, ma soprattutto bello e di questo sono molto grata!

IL GRANDE FREDDO

Tamara mentre affronta una bufera di neve sul Manaslu nel 2015 e sulla vetta del Pik Pobeda in siberia nel 2017 con Simone Moro

I.V.:  Il freddo estremo è una componente costante nelle tue spedizioni invernali. Hai scalato anche una delle montagne più fredde del mondo in siberia. Come vivi questo aspetto? Cosa rappresenta per te il freddo e come hai imparato ad affrontarlo?

“Mi ci sono voluti 2 mesi per decidere se affrontare con Simone questo progetto. Avevo paura di perdere le dita dei piedi ma le foto della zona erano così intriganti che non potevo dire di no. Mi aspettavano -70° C. Saremmo stati in uno dei posti più freddi del pianeta.” (Siberia 2017)

Tamara: Il freddo era un mio limite, una cosa che mi faceva paura e visto che non mi piace ritirarmi in una  comfort zone sempre più piccola, ho voluto mettermi alla prova in queste condizioni limite.

Devi avere questo coraggio di superare questa paura e vedere cosa c’è dietro e poi magari questo coraggio ti apre nuove visioni e orizzonti dove esploro ancora di più. Per me era proprio dove nessuno voleva andare la grande attrazione: quelle parti del mondo così lontane dalla civiltà e dal mondo che lontane da me e dalla mia interiorità.

la dimensione esplorativa

“Questa spedizione mi ha fatto capire che la libertà e la pace interiore non la trovo solo sugli 8.000 metri, ma anche in altre aree lontane dalle civiltà.” (India nord orientale 2017)

I.V.:  Cosa significa nell’era della tecnologia, dei satelliti, dei social, della continua e compulsiva connessione, essere esploratori, esplorare nuovi territori selvaggi? Su queste riflessioni hai fatto anche nuove esperienze come quelle della spedizione in India nord orientale con il parapendio, aspetto che fa di te una persona sempre alla ricerca di nuovi modi di vivere l’avventura in luoghi selvaggi lontano dalla civiltà.

“Fin da bambina ho coltivato il mito di terre lontane da esplorare, terre selvagge che salgono sempre più su, fino al tetto del mondo! Queste terre avevano un nome da Mille e una notte: Pamir, un nome magico, capace di evocar nei miei pensieri avventura e mistero!”

(PAMIR / KYRGHYZSTAN 2013)

Tamara:

Avrei voluto vivere 70 anni fa per vivere l’esplorazione in modo ancora più lontano dal mondo.

Alcune splendide immagini dalla spedizione in India nord-orientale del 2017 in parapendio

Adesso con i social è tutta un’altra cosa, bisogna trovare il giusto equilibrio perché ci sono delle belle opportunità per comunicare ad esempio coi social con le persone. Puoi unire le persone, ispirarle, fare del buono, ad esempio in Italia ho cercato compagni di scalata tramite instagram. Questi aspetti sono frutto dei tempi, prima non mi piacevano per niente, mentre ora ho imparato a usarli senza dargli troppo importanza. Non mi focalizzo sui follower e sui numeri, per me i social sono semplicemente uno strumento per potere comunicare, io stessa sono poco attiva comunque non sono molto attiva in questo frangente.

Continua la lettura nella seconda parte dell’intervista…

credits: foto gentilmente concesse dal sito www.tamaralunger.com

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